( A cura di Paolo Chiari )
Premessa
Nel 2004 l’Esecutivo Nazionale della Società Italiana di Psicoanalisi ha richiesto ai Rappresentanti Intercentri di redigere la storia del proprio Centro di appartenenza. Mi sono quindi dedicato a questo compito, non senza una certa preoccupazione, sapendo che attraverso la lunga e ricca vicenda del Centro Milanese sarebbe stato possibile conoscere e approfondire il contributo delle generazioni di analisti che ci hanno preceduto e che, nel corso degli anni, hanno reso vivo il dibattito scientifico del Centro stesso, come della psicoanalisi a livello nazionale e internazionale.
Primo passo di questo lavoro storico è stato reperire i materiali. Non molti, purtroppo, come ho avuto presto modo di constatare, anche a causa dei traslochi che hanno accompagnato la vita del Centro. E’ stato quindi necessario risalire alle fonti, un lavoro reso possibile dalla cortese disponibilità a lunghe interviste concessami da parte dei Soci Onorari del Centro, Bianca Gatti e Renato Sigurtà, dei Presidenti, ancora in vita, che si sono succeduti, quali Franco Ciprandi, Franco DeMasi, Antonino Ferro, Eugenio Gaburri, Paolo Kluzer; e di Mariangela Barbieri, che nel corso del tempo ha ricoperto varie cariche ed ha sempre assicurato una presenza quotidiana al Centro. Ove è stato possibile, questo lavoro storico è stato integrato con brevi citazioni tratte dalla Rivista di Psicoanalisi, dal Notiziario della Società Psicoanalitica , da pubblicazioni e da scritti presentati al Centro.
L’esito, naturalmente migliorabile e aperto a integrazioni, non comprende tutti gli analisti che, in vario modo e a differente titolo, nel corso di più decenni hanno contribuito a sviluppare e animare il Centro. A tutti va il nostro ringraziamento.
Il Centro Milanese di Psicoanalisi ha come scopo la formazione permanente e l’aggiornamento scientifico dei soci della Società Italiana di Psicoanalisi ad esso iscritti attraverso lo sviluppo della ricerca psicoanalitica. Raccontare la sua storia significa, soprattutto, narrare di donne e di uomini appassionati di psicoanalisi che hanno dedicato le loro energie e le loro capacità a indagare, approfondire, ricercare l’inconscio dell’essere umano, e a realizzare, a livello locale, il compito della Società Italiana di Psicoanalisi. Per questo hanno avuto bisogno di darsi un luogo e un tempo per gli incontri e gli scambi scientifici, e hanno dato vita a una tradizione di pensiero che a Milano trovò in Cesare Musatti il primo coraggioso e tenace promotore della ricerca scientifica sul pensiero di Freud. Come ha ben sintetizzato Bianca Gatti, “appartenere al Centro Milanese ha voluto dire partecipare al movimento culturale freudiano, alla cultura mitteleuropea di cui Musatti era portatore e interprete, sentirsi aperti al mondo culturale” (1).
La Società Italiana di Psicoanalisi fu fondata da Marco Levi Bianchini nel 1925, ma venne riorganizzata pochi anni dopo (1932) da Edoardo Weiss e dai suoi collaboratori e allievi, tra i quali Nicola Perrotti, Emilio Servadio e, appunto, Cesare Musatti. Dopo aver condotto gli studi di matematica e filosofia all’Università di Padova, Musatti si era orientato verso la psicologia diventando assistente di Vittorio Benussi e iniziando, già nei corsi universitari del 1933-35, a introdurre la psicoanalisi nella facoltà di Psicologia. Allontanato dall’insegnamento universitario nel 1938, a causa delle leggi razziali, insegnò prima al liceo Parini di Milano e poi lavorò nella direzione del laboratorio di Psicologia Industriale presso la Olivetti di Ivrea, dove trovò rifugio durante parte del periodo bellico.
Per la psicoanalisi italiana sono anni di difficile isolamento. Mentre gli analisti di altri paesi hanno la possibilità di incrementare la loro esperienza clinica, teorica, didattica e societaria, la Società Italiana di Psicoanalisi subisce l’ostilità della cultura dominante. La contrastano violentemente il nazionalismo fascista, il crocianesimo filosofico, l’antisemitismo, la psichiatria organicista e, non ultimo, l’integralismo cattolico.
Nel 1946 Cesare Musatti è a Milano e inizia a insegnare all’Università. Ecco il ricordo di Franco Fornari: “Erano (…) gli anni del dopoguerra e nessuno allora pensava alla psicoanalisi nei termini in cui è oggi diffusa. Erano, come si suol dire, tempi pionieristici. Appena reinserito sulla cattedra universitaria, nell’anno 1946-47, Musatti teneva il corso di psicologia per gli studenti in medicina. La prima volta che andai, eravamo in due studenti ad assistere al suo corso. In seguito lo seguii in gran parte da solo. Allora la psicoanalisi era appunto qualcosa di marziano. E Musatti trasmise il suo sapere psicologico affidando agli allievi medici il patrimonio psicoanalitico e affidando invece agli allievi psicologi il patrimonio della ricerca sperimentale”(2).
Emergono già in questo ricordo due delle tre anime di Cesare Musatti: la sperimentale, legata all’introduzione in Italia della psicologia della Gestalt; la clinica, sviluppatasi all’interno dell’interesse psicoanalitico; la passione politica, che Musatti visse soprattutto nell’area del socialismo italiano.
Per approfondire i temi clinici Musatti “collaborò a fine degli anni ‘40 con la cattedra di Malattie Mentali del Prof. Riquier e con le attività cliniche di Ville Turro, dove raccolse parte dei primi allievi interessati a studiare e ad approfondire gli insegnamenti di Freud. Di questo gruppo facevano parte gli psichiatri Renato Sigurtà, Franco Ciprandi, Marcella Balconi, Mariolina Berrini, Franco Fornari, Mariangela Barbieri, Giancarlo Zapparoli, ma anche il medico internista Vittorio Emanuele e il magistrato Pietro Veltri “(3), in seguito consigliere di cassazione, il più anziano, che per “esercitare la professione di analista devolveva gli introiti a una cassa comune”(4).
Questi primi analisti si riunivano settimanalmente presso l’Istituto di Psicologia dell’Università di Milano, in via Festa del Perdono, luogo di cui la memoria di Sigurtà ci offre questa pittoresca descrizione: “[Era a] quell’epoca una stanza, neppure troppo grande, in fondo ad un corridoio della Casa dello Studente. Quando entro sono tutti attorno a un vecchio proiettore che descrive sul muro (lo schermo mancherà ancora per parecchi anni) una serie di anonimi cerchietti. Tutto attorno, sugli scaffali un poco sbilenchi, sulle sedie spaiate, sui libri e sulle carte, la polvere trionfa. È il risultato di un conflitto di competenze tra gli inservienti che si risolverà solo con il passaggio dell’Istituto alla Ca’ Granda. Anche il proiettore ne è ricoperto. Per il calore la polvere brucia emanando un odore pungente e vagamente disgustoso che mi riporta alla guerra, quando nelle corsie dell’ospedale militare l’infezione da piocianeo si annunciava con analogo acre segnale”(5).
In seguito, gli incontri si tennero presso le case di Musatti: la prima in Corso di Porta Romana; la seconda in via Sabbatini. Il compito che gli analisti si danno è duplice: discutere i casi clinici e studiare le opere di Freud che, come precisa Mariangela Barbieri, venivano lette, prima che fossero edite in inglese dalla Standard Edition, nella traduzione spagnola. Ricorda Franco Ciprandi: “Il nostro lavoro era ispirato al modello viennese. Veniva proposta la rilettura di alcune opere di un autore e successivamente se ne discuteva nel corso delle nostre riunioni. In larga misura si trattava di opere di Freud, e a questo proposito va qui ricordato che, proprio in quegli anni, il professor Musatti portava avanti, volume dopo volume, quel notevole lavoro che sboccherà nel 1967 nella produzione editoriale della O.S.F. di Boringhieri, conclusasi nel 1980″(6), ovvero la brillante impresa di traduzione dell’Opera Omnia di Freud che ha permesso la diffusione e la conoscenza del pensiero del padre della psicoanalisi in Italia. Oltre a leggere e commentare gli scritti di Freud, i partecipanti presentavano relazioni cliniche e teoriche che venivano poi discusse collettivamente. Si affrontavano così, con il contributo di tutti, le situazioni più difficili dell’esperienza clinica.
Le riunioni in Casa Musatti “offrivano agli studiosi che abitavano nel nord Italia – Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria, Emilia – l’unica possibilità di approfondire la grande scoperta freudiana: le motivazioni inconsce del comportamento, che possono essere comprese grazie al rapporto terapeutico con lo psicoanalista.”(7). Ai membri di questo primo gruppo si unirono presto altri appassionati, fra i quali Bianca Gatti, Anteo Saraval, Tommaso Senise, Franco Ferradini e Egon Molinari, che darà poi vita al gruppo bolognese. Alcuni di loro iniziarono anche un’analisi personale con lo stesso Musatti. Oltre che come psicoanalisti, molti lavoravano all’interno di istituzioni pubbliche universitarie, ospedaliere, psichiatriche e, in seguito, anche giudiziarie. Ciò permise un primo diffondersi delle nuove conoscenze psicoanalitiche nell’ambito istituzionale, allora ancora ostile, diffidente e poco informato.
A Milano le istituzioni principali furono quattro: l’Istituto di Psicologia Clinica presso l’ospedale psichiatrico Paolo Pini con Zapparoli e Ferradini, l’Università Statale con Musatti, Fornari e Funari, il Policlinico Universitario dove insegnava Bianca Gatti, e l’Opera Maternità e Infanzia con Berrini e Mariangela Barbieri, che così ricorda: “C’era nel gruppo una forte coesione, circolavano degli affetti positivi che mitigavano la inevitabile competitività, le discordanze teoriche non divenivano scontri. Il piccolo gruppo si compattava all’interno, tanto più era osteggiato all’esterno”( 4 ).
Furono anni, quelli fra il ‘46 e il ‘63, di grande entusiasmo e di molto lavoro per rompere l’isolamento entro cui la psicoanalisi aveva vissuto a partire dalla chiusura della Società Italiana di Psicoanalisi, imposta dal regime fascista nel 1938, e della sua rivista, nel 1934. Nel 1955 Musatti ne riprese la pubblicazione dichiarando esplicitamente il compito che si prefiggeva: “Non si può certo ritenere che la psicoanalisi esaurisca o possa esaurire tutta la psicologia, ma si deve constatare che essa, allo stesso modo come è entrata a vele spiegate nella moderna psichiatria, così si è ormai conquistata un suo valido posto nella psicologia generale. Certo questo rende le cose molto più difficili per noi. Eravamo una sparuta pattuglia che si poteva agevolmente rinchiudere nella torre d’avorio del suo isolamento. Ora non possiamo sottrarci al compito di affrontare la situazione in campo aperto. (..) Ecco perché si è fatta urgente la necessità che gli psicoanalisti italiani (ormai una trentina) abbiano una loro specifica tribuna scientifica, la quale li metta in grado di comunicare con quei medici e quegli psicologi che possono avere o sviluppare un interesse per i nostri studi”(8).
Bisogna ricordare che nel dopoguerra in Italia, ad essere riconosciuti dall’Associazione Psicoanalitica Internazionale “vi erano soltanto sei psicoanalisti. Di questi, quattro stanno a Roma, uno a Milano e una a Palermo. Uno solo è medico, il professor Perrotti, tre sono laureati in legge, vi è poi una distinta signora della nobiltà, ed un professore proveniente dagli studi filosofici e di psicologia sperimentale”(8). Sempre Musatti ci ricorda che “per diventare psicoanalisti bisogna rivolgersi a loro, sottoporsi ad un trattamento analitico personale e didattico [per le supervisioni arriva da Roma, ogni quindici giorni, Perrotti, e gli incontri si svolgono, come ricorda Sigurtà, nella cucina di Musatti (3)] e seguire poi un lungo tirocinio di cinque o sei anni sostenendo varie prove: una prima prova per essere ammessi a far parte della Società Italiana senza diritto però di esercitare la terapia, e una seconda più gravosa prova per diventare psicoanalista…. Mancando una formazione universitaria che provveda a questo dobbiamo noi provvedere a organizzare le cose servendoci del prestigio che ci dà il riconoscimento dell’autorevole organismo internazionale”(8). Nasceranno così gli Istituti di Training: due a Roma e uno a Milano che in seguito diverranno le sedi dei Centri..
Con il trascorrere degli anni il numero degli interessati alla pratica della psicoanalisi crebbe. Non così, ovviamente, la casa di Musatti. “Per un certo periodo il gruppo trovò ospitalità presso la Fondazione Carlo Erba, ma presto avvertì l’esigenza di una sede istituzionale dove poter costituire, sul modello della International Psycoanalytic Association, una organizzazione che prevedesse criteri di selezione, di formazione dei candidati analisti e la crescita dell’identità psicoanalitica del gruppo” (6). “Nel 1963, Franco Ciprandi, Renato Sigurtà e Pietro Veltri fondano anche a questo scopo l’Associazione Milanese di Psicoanalisi”(7) presso la cui sede viene ospitato l’Istituto Milanese per la formazione dei futuri psicoanalisti. “La sede venne posta in un appartamento al quarto piano di via Corridoni 1, trovato grazie a Luciana Nissim, che abitava all’ultimo piano dello stesso palazzo. La possibilità di affittarlo, ricorda ancora Sigurtà, si dovette alla generosità di una signora che, in segno di gratitudine per le cure ricevute da Musatti, si offrì di pagare l’affitto per qualche anno” (3).
Primo segretario della neonata Associazione è Renato Sigurtà che “con sorridente ironia, un fare divertito e poco propenso alla seriosità, provvedeva a intraprendere e a sbrigare molte faccende organizzative, spesso velocemente, ma sempre con attenzione” (6). Fu lui, su incarico del Presidente dell’Associazione Cesare Musatti, a suddividere gli spazi disponibili fra gli studi privati e le necessità dell’Associazione, fra cui il neonato servizio di consultazione clinica, diretto per molti anni da Sigurtà stesso. Ricorda ancora Franco Ciprandi che già “nel maggio del 1964 ebbe luogo qualcosa di molto importante per il Centro: si tenne a Milano il XXV Congresso di Psicoanalisi di Lingua Romanda, dove Fornari lesse il suo lavoro “La psichanalyse de la guerre”(6).
In questo periodo i legami internazionali sono sostanzialmente con la psicoanalisi di lingua francese. Mentre Franco Fornari stava approfondendo i temi dell’aggressività umana, “un altro collega si era avventurato nel difficile e aspro mondo della psicosi: GianCarlo Zapparoli. Fra i due ci furono momenti di dura rivalità” ma la competitività intellettuale trovò spazio in una fertile produzione editoriale, e sulla “distruttività prevalse fortemente la costruttività” (6).
L’attività del Centro rese necessaria fin dai primi anni la presenza di una segretaria. La prima fu “la sig.ra Zanetti, medaglia d’oro della resistenza come staffetta porta ordini di Parri. Appassionata lettrice, laureata in agraria”(3), venne affiancata a partire dal 1968 dalla sig.ra Vignoli, tutt’oggi Responsabile della Segreteria del Centro. Prese infine avvio il primo nucleo di quella che sarebbe diventata la biblioteca più importante del settore, e che oggi conta oltre 4000 volumi, circa 70 riviste specializzate e 30 collane di riviste storiche.
E’ ormai finita l’epoca pionieristica. Mentre la psicoanalisi italiana si consolida e si organizza, emergono le prime serie conflittualità fra i vari gruppi della Società. A Milano, e soprattutto a Musatti, viene rimproverato di non rispettare pienamente le regole stabilite per tutte le società appartenenti all’International Psycoanalytical Association circa i criteri di selezione e formazione dei candidati analisti. E così, nel 1970, su richiesta italiana, l’Associazione Internazionale incarica la Società Svizzera di Psicoanalisi di verificare e controllare il funzionamento della Società Italiana: il Site Visit Committee prende contatto con tutti gli organi della Società e verifica l’organizzazione e le procedure seguite. Ricorda Mariangela Barbieri che “la Commissione svizzera ci fece un esame, furono prese delle camere in un albergo milanese e sostenemmo un colloquio su un caso clinico come per l’Associatura, c’era in più la complicazione della lingua, noi parlavamo in italiano, gli svizzeri ci rispondevano in francese”(4).
Il risultato più evidente del commissariamento sarà la regolamentazione della vita societaria attraverso la stesura dello Statuto e del Regolamento: vengono costituiti i Centri, sezioni locali della Società, costituiti da analisti che svolgono attività scientifiche e culturali, e gli Istituti locali di Training, due a Roma e uno a Milano, composti da analisti con funzioni didattiche che assolvono il compito statutario della selezione e formazione dei candidati analisti. Si consolida, in questo modo, l’importanza del Centro per l’Istituto di Training e si afferma quella ospitalità calda e affettuosa che il Centro Milanese offre ai candidati, permettendo loro di partecipare alle attività in un clima familiare. Il Centro Milanese di Psicoanalisi nasce ufficialmente il 26 febbraio 1974 con atto notarile sottoscritto da Franco Ciprandi, Pietro Veltri e Renato Sigurtà (15).
Nel corso degli anni ’70, il desiderio di incrementare il confronto, a partire dall’esperienza clinica, tra gli analisti più anziani e i giovani associati trovò nel Centro il luogo di incontro per le diverse esperienze. Così ha scritto Di Chiara: “Si configurava già allora come un crogiolo di idee (..) perché convivevano, convergevano, si intrecciavano, linee teoriche e cliniche diverse. Il saldo filone metapsicologico freudiano di cui Cesare Musatti era l’espressione e il simbolo più forte(..) era rinforzato dal lavoro dei colleghi che avevano conosciuto più da vicino gli sviluppi francofoni, come Gilda De Simone, Eugenio Gaburri, Paolo Kluzer, Almatea Usuelli Kluzer; dall’altro dai contributi più nostrani, come quelli (che caratterizzeranno la via pavese alla psicoanalisi) di Dario De Martis e Fausto Petrella, (nelle istituzioni psichiatriche milanesi) di Bianca Gatti, Franco Ferradini e GianCarlo Zapparoli, o di Elvio Fachinelli ed Enzo Morpurgo (che intravedevano nell’avventura nelle profondità della natura umana un modo per poter operare nel mondo sociale) . (…) A Tommaso Senise dobbiamo l’interesse specifico al trattamento degli adolescenti e un modello di intervento terapeutico di grande originalità”(9). Fu un pioniere, seguito presto da Giovanna Giaconia, nel portare nel Tribunale dei Minori e nelle istituzioni giudiziarie minorili quale il Beccaria il punto di vista psicoanalitico, sia per quanto riguarda la valutazione, la diagnosi, sia, laddove possibile, per la terapia. Inoltre il Centro ospita il dibattito post-kleiniano, proprio negli anni in cui questo vive una grande diffusione a livello internazionale. “Alcuni soci, già membri del Centro, si recano all’estero, soprattutto a Londra – ricorda Franco De Masi – per sottoporsi a una nuova analisi e ricevere supervisioni. Penso a Mauro Morra, Lina Generali. Altri arrivano da Londra come Laura Tognoli e Gabriele Pasquali. La generazione che andava consolidando la propria esperienza clinica desiderava confrontarsi con il dibattito post kleiniano e con la disputa fra Melanie Klein e Anna Freud. Fra gli altri Piero Leonardi, Mauro Mancia, Bianca Fornari, Alberto e Franca Meotti, Andreina Robutti, Antonino Ferro, Giuseppe Fiorentini, Dina Vallino. Tra il 1978 e il 1985 analisti inglesi tengono vari seminari a Roma e anche a Milano. A Franca e Alberto Meotti – continua De Masi – si deve l’invito a Milano di Herbert Rosenfeld, a Lina Generali quello a Eric Bremman. Io invitai Emma Pick. Importanti furono inoltre i seminari di Donald Meltzer e di Martha Harris, fra Milano e Novara, ospiti di Marcella Balconi”(10).
Negli anni precedenti i soci del Centro avevano iniziato a confrontarsi con i contributi teorici provenienti dall’Inghilterra. “Il filone Kleiniano era stato aperto già nel 1963 da Franco Fornari con il libro La vita affettiva originaria del bambino, ma negli anni successivi trovò a Milano sviluppi assai floridi” (9) come ad esempio è riscontrabile dal libro Eros e Onnipotenza, (11) che raccoglie i seminari presentati al Centro nell’inverno del 1974. Fra questi colpisce il titolo del saggio di Luciana Nissim Omaggio a Rosenfeld che esprime la gratitudine per la scoperta del pensiero postkleiniano.
Al centro di questo appassionato clima di confronto e discussione, ricorda Mariangela Barbieri, “ci furono soprattutto le teorie di Melanie Klein, che la maggior parte degli analisti milanesi non aveva potuto vivere attraverso la propria analisi personale. Alcuni aderirono alle nuove ipotesi che prevedevano interpretazioni precoci, il riconoscimento degli impulsi e la loro canalizzazione, mentre altri considerarono tutto ciò colpevolizzante per il paziente e cercarono un modo per arricchire il proprio background teorico senza aderirvi completamente. Il conflitto si animò fra ‘colpevolisti’ e ‘innocentisti’ a proposito delle teorie kleiniane e del tempo opportuno per gli interventi dell’analista sulle pulsioni aggressive e l’invidia. A mitigare il clima concorse, di lì a poco, la figura di Bremman, che mostrò una via per accogliere il punto di vista della discussa psicoanalista inglese stando dalla parte del paziente”(4). I seminari di Eric Brenman, così come quelli di Herbert Rosenfeld, sono stati poi pubblicati, insieme a altre iniziative ( fra cui i seminari milanesi di Stefania Manfredi e la psicoterapia dei pazienti borderline di G.O.Gabbard), grazie all’impegno di alcuni soci del Centro, fra i quali Paola Capozzi e Noè Loiacono, nei Quaderni del Centro Milanese di Psicoanalisi C. Musatti che, negli ultimi dieci anni, hanno messo a disposizione del pubblico momenti significativi della riflessione psicoanalitica sviluppatasi nel Centro.
Andreina Robutti, testimone di quegli anni, racconta il Centro con queste parole: “Quando, negli anni 70, ho incominciato a frequentare il gruppo milanese, ho trovato un clima molto vivo e appassionato (…), un confronto fra idee di importazione a cui alcune personalità italiane di particolare spicco davano un impronta alquanto personale (…). C’era chi tornava dall’estero dopo un periodo di studio e di training e portava idee nuove che venivano ascoltate a volte con sospetto, sempre con curiosità. Le idee d’importazione suscitavano adesioni, ma anche accuse di xenofilia, e le aggregazioni attorno a teorie e modelli avvenivano a volte per predilezioni linguistiche o amicizie personali. La formazione di gruppi ben definiti intorno ad alcuni analisti milanesi dotati di particolare carisma era evidente, ma non ha mai assunto caratteristiche di drastica divisione”.(13)
Le differenze teoriche furono affrontate attraverso un confronto sul materiale clinico. Importantissimo a questo fine – ci informa Mariangela Barbieri- fu il gruppo “acefalo” o “del martedì”, nato nel 1971 per volontà di Tommaso Senise, Giancarlo Zapparoli e Mariangela Barbieri, tutt’oggi in funzione secondo le modalità che ricorda Ciprandi: “Il modo di lavorare era questo: ogni martedì un socio si impegnava a riferire di un caso che aveva in cura; dava le notizie necessarie ai colleghi perché acquisissero una conoscenza del caso, poi si dedicava il tempo alla narrazione di una o di due sedute, parola dopo parola. Spesso una sola serata non era sufficiente per discutere insieme tutti i problemi che la seduta poneva”(6). Questa modalità di lavoro rispecchia la specificità di costruzione del sapere psicoanalitico, che privilegia il lavorare insieme, in modo profondo, all’interno di un processo, di un percorso condiviso di crescita. “Tra 1979 e 1980 – ci ricorda ancora Ciprandi – il gruppo si interessò in particolare ai momenti perversi del transfert. Ciò condusse alcuni membri a presentare brevi testi al Panel di Taormina del 1980, poi pubblicati sulla Rivista di Psicoanalisi”(6).
Alla fine degli anni ’80, con Paola Molone e Antonino Ferro, il servizio di Consultazione prime visite apre a bambini e adolescenti. In questo contesto “Marta Badoni sente la necessità di creare un gruppo di riscontro che permetta di seguire l’andamento dei pazienti presi in carico, come pure di costituire, attorno alla consultazione, anche per adolescenti, una rete di competenze e di ascolto: lavoro con i genitori, con le coppie, attenzione ai problemi dell’ambiente, scuola …” (14). Nasce così, nel 1993, l’Osservatorio di Psicoanalisi del bambino e dell’adolescente, fondato, oltre che da Marta Badoni, da Antonino Ferro, Dina Vallino e Magda Viola. Ricorda Ferro: “Siamo stati i primi a livello nazionale della Società Psicoanalitica ad istituire uno spazio ufficiale, aprendo la strada per la realizzazione del Training in Psicoanalisi Infantile. L’Osservatorio, oltre a permettere uno spazio di confronto clinico per quegli analisti che già si misuravano con il trattamento di bambini e adolescenti, si configurò come un laboratorio per riflettere sui problemi tecnici collegati alle analisi infantili e con adolescenti e per valutare come gli elementi provenienti da questo nuovo campo si riverberassero anche nell’analisi dei pazienti adulti” (16).
Grazie ai diversi contributi e alla libertà di pensiero che ha sempre distinto il Centro, si è andata così caratterizzando una “via milanese” alla psicoanalisi, non codificata in una rigida scuola, ma aperta ad accogliere gli stimoli più diversi e più ricchi del panorama internazionale. Una via cresciuta forse proprio grazie al carattere del suo fondatore Cesare Musatti: “Una volta che si discuteva (….) Musatti ebbe l’impressione che io non gli dicessi completamente quello che pensavo, mi disse: Guarda, Fornari, che se uno dei miei allievi avesse un’idea diversa dalla mia e non la sostenesse fino in fondo, io mi offenderei” (15).
Anche Eugenio Gaburri rammenta quanto Musatti non contrastasse le ricerche e gli inviti a ospiti stranieri: “C’era, al Centro, un clima familiare e patriarcale al tempo stesso. Musatti nutriva un grande amore per Freud, sul cui pensiero era molto competente, ma non era altrettanto interessato agli sviluppi internazionali della psicoanalisi”(12). Lasciò così questo compito agli allievi. Ricorda ancora Gaburri: “All’inizio degli anni ’70, al Centro di Milano spiccavano tre figure di riferimento: Fornari, legato al pensiero kleiniano; Zapparoli, vicino a Sullivan, cioè al pensiero psicoanalitico americano e alla cura degli psicotici; Lopez che, formatosi in Inghilterra, aderiva alle posizioni degli Indipendenti inglesi. Giovane segretario scientifico, mi recavo una domenica al mese a casa di Stefania Manfredi, a Firenze, per confrontare i progetti scientifici dei vari Centri. Conobbi così Giuseppe Di Chiara, segretario di Palermo, che qualche anno dopo si trasferì a Milano. Giuseppe Di Chiara, tramite Francesco Corrao, proveniva da una diversa radice europea personificata dalla Principessa Alessandra Wolf Stomersee di Lampedusa (moglie del Principe Tomasi di Lampedusa, autore del Gattopardo) che si era formata all’Istituto di Berlino. Di Chiara – ricorda ancora Gaburri – arricchì il Centro Milanese del filone psicoanalitico di Francesco Corrao, che attraverso il suo interesse per i gruppi aveva iniziato a far conoscere in Italia il pensiero di Bion, soprattutto gli scritti di Bion che riguardavano i gruppi”(12).
La ricchezza delle ricerche cliniche e degli stimoli internazionali, nel corso degli anni ’80 e nei primi anni ’90 trovano in Luciana Nissim la persona che assimila, approfondisce e rielabora una psicoanalisi che, partendo dalla metapsicologia freudiana, si apre ai contributi successivi senza chiudersi all’interno di una singola scuola. Racconta ancora Eugenio Gaburri: “Luciana Nissim aprì un’area transizionale che permise la crescita come cambiamento. Sostenne il passaggio dal modello kleiniano inglese a quello kleiniano italiano, spostando l’attenzione dalla metapsicologia a quella psicologia bipersonale, sottolineata da Bion, su cui Ferro, Bezoari, Barale lavoreranno agli inizi degli anni novanta. Inoltre arricchì il Centro di un elemento femminile, materno, diverso dal modello maschile e patriarcale di Musatti. Questa sua posizione – ricordo in particolare la sua opposizione alla nomina degli analisti didatti per cooptazione – aiutò il traghettamento del Centro da Musatti ai suoi successori” (12). Nel 1986 sarà infatti proprio lei (unica donna fino adesso) a succedere al padre fondatore. E’ la prima presidente dopo la lunga era Musatti.
Per onorare la figura del fondatore, che continuò a partecipare alla vita del Centro fino a quando la salute glielo permise, “l’Associazione nel 1989 assunse il nome di “Centro Milanese di Psicoanalisi Cesare Musatti”( 7).
Si arriva così agli anni novanta, alla storia recente. Grazie alle presidenze di Franco Ciprandi, Dario De Martis, Franco De Masi, Antonino Ferro, Eugenio Gaburri e Paolo Kluzer, il Centro, che ormai raggruppa quasi duecento soci, sviluppa una duplice spinta: una tradizionale, interna, di approfondimento e ricerca, affiancata, come ci ricorda Antonino Ferro (16), da una “progressiva internazionalizzazione del Centro stesso, che diviene un importante crocevia culturale con la presenza dei più significativi rappresentanti dei diversi modelli di psicoanalisi”; e una seconda, rivolta all’esterno, di servizi per il pubblico. Questo è reso possibile anche dal trasferimento nel 1994 nella nuova sede al n 38 della medesima via Corridoni, dove finalmente trovano adeguato spazio la segreteria, la ricca biblioteca intitolata a Franco Fornari e alcuni studi adibiti al Servizio Clinico.
Superate le conflittualità, molto forti nei primi anni ’90 – come afferma Ciprandi – ” rispetto alla misura e ai modi nei quali doveva essere contenuta l’attività dei Soci in relazione a impegni e raggruppamenti extra-societari”(17), e riconosciuta l’importanza, tema ancora oggi molto sentito a livello societario, della partecipazione dei soci alla vita culturale del Centro, il Centro Milanese si è progressivamente aperto all’esterno. Inizialmente furono singole conferenze pubbliche – la prima, nel 1994, fu tenuta al Circolo della Stampa – e in seguito veri e propri cicli di seminari e conferenze che hanno via via assunto, grazie al contributo di Tebaldo Galli, Anna Ferruta e Laura Ambrosiano in qualità di Segretario Scientifico, la forma degli attuali Seminari Aperti, divenuti ormai una tradizione e un punto di riferimento per gli operatori del settore pubblico e del privato che intendano conoscere e avvalersi della cultura psicoanalitica sviluppata dai soci del Centro milanese.
Il Centro si è inoltre fatto promotore di convegni aperti al pubblico nei quali si confrontano le esperienze clinico-teoriche internazionali con le esperienze maturate tra i soci milanesi. Ma allo stesso tempo, ha mantenuto e tuttora mantiene il lavoro di ricerca interna e il confronto fra i soci: la sua vita continua ad articolarsi attraverso le riunioni scientifiche del giovedì, da molti anni aperti anche ai candidati, e con i gruppi di studio su temi specifici, che si svolgono in maniera continuativa durante tutto l’arco dell’anno. Attualmente, durante i fine settimana, il Centro continua ad ospitare i Seminari di formazione della Sezione Milanese dell’Istituto Nazionale del Training, desideroso di accogliere i nuovi candidati, e averli quanto prima come soci .
FONTI STORICHE E BIBLIOGRAFICHE
1) Gatti B., ( intervista), Milano, 31 marzo 2007
2) Fornari F., Rivista di Psicoanalisi, 3, 1977, p. 312
3) Sigurtà R. , (intervista in collaborazione con A. Scansani e F. Rocca), Milano, 27 giugno 2005
4) Barbieri M.A., (intervista), Milano, 23 Febbraio 2007
5) Sigurtà R., Rivista di Psicoanalisi, 3, 1977 p.334
6) Ciprandi F., (intervista), Milano, 17 Febbraio 2006
7) Opuscolo del Centro Milanese di Psicoanalisi, a cura del Comitato Direttivo anni 1994-996, p.4
8) Musatti C., Rivista di Psicoanalisi , 1,1955, p.3-10
9) Di Chiara G., “Il Centro Milanese di Psicoanalisi. Storia delle Idee”. Lavoro presentato al Centro Milanese di Psicoanalisi , 23 ottobre 2003, p.1-3
10) De Masi F., (intervista), Milano , 26 Aprile 2007
11) E. Gaburri ( a cura di), con i contributi di Dario De Martis, Gilda De Simone, Piero Leonardi, Mauro Mancia, Luciana Nissim e Eugenio Gaburri, Eros e Onnipotenza, Studi psicoanalitici sul narcisismo, Guaraldi, Rimini-Firenze, 1976
12) Eugenio Gaburri, (intervista), Milano , 6 Maggio 2007
13) Robutti A.(1992), Incontro a un crocevia. In Nissim Momigliano L. e Robutti A.(a cura di), L’esperienza condivisa, Raffaello Cortina, Milano, 1992 p. 12.
14) Rappezzi L. e Ballottari C., “L’Osservatorio milanese di Psicoanalisi
del bambino e dell’adolescente”, 2007, presentato nell’Osservatorio di psicoanalisi infantile, autunno 2007, inedito.
15) Fornari Franco, Rivista di Psicoanalisi , 3, 1977 , p. 313
16) Ferro A.,( intervista), Pavia , 15 ottobre, 2007
17) Ciprandi F., Notiziario della Società Psicoanalitica, n.2, 2001, p.44